LA PREGIUDIZIALE PER FAR POLITICA, OVVERO LA CONDANNA MORALE AL RENZISMO

Non nascondo lo stato confusionale che in questi giorni fa da costante nelle mie riflessioni. Surreale è l’aggettivo che più mi ronza in testa; anche la mia “volontà” ha intuito come i fatti politici che ci si presentano innanzi possano appartenere a quello scompartimento concettuale. Avete presente, no? Quella percezione, quell’immediato collegamento che, come un riflesso condizionato, fa da ponte fra sensazioni, immagini, concetti: quel “cassetto” del cervello che si apre nel momento del bisogno – come le maestre insegnano alle giovanissime menti quando vogliono dar senso alla cultura – il qual contiene gli strumenti nozionistici, e non, di comprensione del reale.

Ecco, appena il mio cassetto della politica si apre, ciò che esce è il surreale.

(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

Sto metabolizzando, con molta fatica, il cataclisma politico di cui siamo stati testimoni. Surreale, appunto. Un governo Draghi di necessità nazionale (a cui auguro un buon lavoro, nel rispetto delle istituzioni) come stoccata democristiana del presidente Mattarella alla degenerazione parlamentare; governo necessario, sì, ma che suscita clamore, soprattutto per il peso che la Lega e Forza Italia hanno assunto per mezzo dei ministeri strategici a lei affidata (in cui il nord prevarica contro il sud). Per quanto faccia un certo effetto vedere nello stesso scatto fotografico un D’Incà assieme ai famigerati Brunetta e Gelmini, non potevamo aspettarci nient’altro data la logica di unità nazionale; nella speranza che il governo di tutti, alla prova delle urne, non diventi il governo di nessuno. Ricordo a me stesso che questo governo può avere senso solo come governo di scopo.Andando contro l’opinione dello stimato amico segretario Malerba, non può puntare al riassetto istituzionale; tanto necessario quanto auspicabile in forme e modi che non sfocino nel plebiscitarismo. Il perché è chiaro: affidare ad un tecnico prestato alla politica (e che fa scelte politiche) il cerino delle riforme potrebbe evocare quella rivalsa contro l’establishment simile al post governo Monti. Mi riprometto, comunque, di affrontare in futuro, a nubi rase, questa riflessione.

Un cataclisma politico, dunque, sì, ma non innescato dalla politica. Se allargassimo, infatti, il significato del termine politica alle manovre renziane, non dovremo poi stupirci delle conseguenze etiche, morali e, banalmente, cognitive di questa degenerazione della politica. Fa male ricordare come tutto ciò sia avvenuto in un momento tra i più critici della storia repubblicana, di cui tutti noi conosciamo i connotati: il Coronavirus nelle sue varianti, la crisi economica e sociale scaturita dalle legittime precauzioni prese dal governo, la gestione di uno dei piani di investimento europei tra i più ambiziosi della storia dell’Unione, se non il più ambizioso di tutti. Un contesto che, per sua natura, richiama – o dovrebbe richiamare – ad un senso profondo di responsabilità: a quell’etica della responsabilità che Max Weber richiama ne “La politica come professione”.

Nonostante il contesto, c’era un disegno già stabilito, un progetto pianificato, per le sorti del governo Conte-bis. Chi scrive non è certo un “bimbo di Conte”, ma neanche un detrattore per partito preso: continuando la narrazione in terza persona (che fa tanto chic), chi scrive orienta le sue opinioni sulla base dei suoi valori, ben definiti ma non dogmatici. Io (ripasso in prima) mi avvalgo di credere in un ideologia ma non in dogmi, in un insieme di valori di stampo socialista e democratico.

Ciò non lo può ben dire il renzismo e la sua manifestazione politica: Italia Viva. La “mossa del cavallo” renziana non può essere definita politica se per politica intendiamo la concretizzazione di una visione valoriale della realtà sociale, politica ed economica. Italia Viva, per quanto faccia roboanti richiami ad una tradizione liberale, è nata per essere la spada di Damocle di Conte, per l’egocentrismo e il tatticismo fine a se stesso renziano di saudita memoria (dovrebbe far riflettere, fra l’altro, come la parità di genere venga evocata da questa compagine d’interesse).

Se è vero che molti partiti a sinistra e a destra del PD sono sue scapole, è anche vero che le motivazioni che ne hanno sancito la scissione sono differenti ma non troppo. Esse ruotano attorno al tatticismo renziano che IV professa. Se due dei tre partiti di Leu sono fuoriusciti dal Pd in contrasto alla politica renziana, IV è uscita solo per essere l’ago della bilancia della maggioranza, per avere il coltello dalla parte del manico, per tattica parlamentare. Ciò è stato dimostrato dalle modalità con cui è avvenuta la crisi di governo stessa: se è appunto vero che la politica come professione già citata è riducibile al conflitto tra l’etica dei principi (della fermezza ideologica) e l’etica della responsabilità (il governismo, nella sua esasperazione), è possibile riscontrare come né una né l’altra siano presenti nell’azione di IV.

Se un partito in cui fosse prevaricata la lotta ideologica avrebbe sicuramente votano contro la fiducia ad un governo alla prima occasione, prendendosi la responsabilità di palesare le proprie convinzioni, un partito prevaricato dalla responsabilità non avrebbe neanche fatto partire una crisi i questo contesto storico. Il surreale, di nuovo. Ci siamo trovati, dunque, davanti ad un partito che ha usato dei pretesti utili a soddisfare una “voglia di potere” e un tatticismo risultante fine a se stesso, i cui i principi e temi – evidentemente pretestuosi – sono caduti nel momento in cui è sopravvenuto Draghi. Surreale. È davvero possibile o addirittura auspicabile, come Renzi ha dichiarato e come alcune anime del PD anelano, riuscire a creare un progetto politico con i fautori non politici di una crisi di governo in tal contesto storico e chi si dimostra così legato al potere a tal punto da creare un partito solo per tenere sotto scacco permanente un governo? Assolutamente no, rispondo io. Sarò retorico: non può essere legittimata questa degenerazione politica, per il bene di tutto ciò che è politica e che è democrazia.

Sia chiaro, ciò non significa necessariamente porre veti nei confronti di Renzi. Significa sbarrare la strada a ciò che il renzismo ha rappresentato finora: lo sdoganamento del tatticismo, la ricerca spasmodica della miglior posizione strategica per la manifestazione del “potere per il potere”, la svendita degli ideali collocati a sinistra in nome di una visione più vicina ad una certa imprenditoria
(o a principi sauditi) che ora, silente o meno, esalta Renzi. Tutto ciò va contrastato e condannato come degenerazione morale, soprattutto all’interno del PD. Non possiamo continuare a parlare di politica senza prima condannare queste degenerazioni tatticistiche fine a se stesse, nonostante le narrazioni che pongono gli epigoni del renzismo come gli strategici fautori della svolta Draghi, “nostro salvatore”. E’ la questione pregiudiziale per tornare a far politica, a governare, a legiferare, ad amministrare. Condanna morale del renzismo come degenerazione politica, dunque, accogliendo a braccia aperte chi fa abiura, chi crede nella politica in cui le etiche possano trovare un equilibrio e in cui i valori abbiano un senso.

L’aria di congresso che si percepisce all’interno del PD, non è altro che una continuazione delle tendenze di riposizionamento strategico, lungi dall’essere quell’auspicabile luogo di discussione e creazione di una volontà generale. Come, d’altronde, è la strumentalizzazione, da parte dei vicini a IV, della tematica della parità di genere, uno dei valori fondanti della mia visione (che, ammetto, ho un po’ smarrito nel marasma generale del surreale; i compagni di partito con cui ho discusso sanno a cosa mi riferisco). Ma questa è un’altra riflessione.

Conosco un tale che infarcisce le sue trattazioni con citazioni di autorevoli intellettuali, soprattutto all’inizio delle sue riflessioni, a mo’ di effetto. Io mi appello alle parole d’altri alla fine, invece, come ci si aggrappa alla veste materna durante e dopo il pianto: «Soltanto chi è sicuro di non cedere [..] soltanto chi è sicuro di poter dire di fronte a tutto questo: “Non importa, andiamo avanti”, soltanto quest’uomo ha la “vocazione” per la politica». (Max Weber)

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